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    Come non farti fregare

    E’ comunemente noto che quando si lavora in team ci sono delle regole basilari da seguire, che in genere sono anche dettate dal buon senso, come rispettare le altre persone in quanto tali, adottare comportamenti collaborativi per raggiungere l’obiettivo comune, esprimersi liberamente (sempre nel rispetto reciproco) o sempre liberamente non esprimersi, aprirsi all’ascolto delle idee altrui provando a sospendere almeno all’inizio il giudizio.

    Già con queste poche regole possiamo aspettarci di riuscire a fare un buon lavoro di gruppo e di avere ottimi presupposti di base anche per progetti futuri.

    C’è un altro aspetto però da non sottovalutare che non fa parte di una regola, di un’istruzione da seguire, ma che può precludere l’ottenimento di buoni risultati.
    In una sessione di team building per piccoli atleti, ho chiesto a ragazzi di età media 13-14 anni, che cosa fosse importante per loro durante quell’attività.

    Rispetto e fiducia. Erano tutti abbastanza concordi su questi due punti: del rispetto ne avevamo parlato prima di iniziare il “gioco” in team e l’argomento fiducia è entrato a far parte del momento più introspettivo della giornata.

    Per loro la fiducia era qualcosa che si verificava “quando ad esempio, l’ho visto in un video, uno si lascia andare per terra di schiena confidando che chi sta dietro di lui lo sorregga prima che tocchi terra”.

    In effetti, se c’è un elemento molto importante nelle interazioni tra le persone di un team e in genere nelle relazioni tra persone, è proprio il tema della fiducia, argomento tanto discusso quanto controverso.

    Il primo motivo viene dal fatto che ci sono persone che lo considerano un concetto astratto e altre qualcosa di molto concreto, e poi ci sono delle diversità quando si va a definire sulla base di “cosa” andiamo a fidarci o meno degli altri.

    Alcune definizioni da dizionario, ad esempio, contengono sfumature diverse: alcune riportano che si tratta di un atteggiamento basato su una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, altre parlano di un sentimento di attesa ottimistica, altre ancora riferiscono di una credenza o speranza che fondata su segni o argomenti certi o almeno molto probabili.

    Per fare chiarezza su questo argomento un metodo molto utile è quello di andare a rendere sempre meno astratto questo concetto declinandolo in comportamenti concreti che attua la persona che dà fiducia verso qualcun altro.
    La persona a cui ci sentiamo di dare fiducia, ad esempio, è quella che condivide alcuni nostri valori e ideali di vita, agisce spesso come faremmo noi nella stessa situazione, è qualcuno che ci piace per i suoi comportamenti e perché ci dà modo di vederli con i nostri occhi.
    E’ anche qualcuno che garantisce una certa continuità e coerenza nei suoi atteggiamenti e risponde alle nostre aspettative.

    Concretizzando in questo modo il tema fiducia, avendo creato una sorta di check list della persona ideale di cui fidarci, possiamo sentirci sicuri e sereni.
    D’altra parte, la nostra società, la realtà lavorativa e familiare in cui viviamo, ci hanno trasmesso e rimarcato negli anni che sono gli ingenui si fidano ciecamente! Che equivale a dire che fidarsi incondizionatamente è da stupidi.

    Quindi diciamocelo, meglio mettere delle chiare e precise condizioni e controllare quotidianamente che vengano rispettate. “Mi fido di te se…”

    Ma è questa la vera fiducia?
    Controllare che qualcun altro sia sempre coerente nel suo operato, metterlo alla prova, magari riservandosi di togliere fiducia non appena si verifichi una piccola incoerenza o la caduta di una condizione: è così che vogliamo vivere con fiducia verso il prossimo?
    Eh sì, perché arrivati a questo punto si tratta di un dispendio di energie non poco considerevole, una ruota da cui facciamo fatica a scendere, nella quale continuiamo a girare come dei cricetini, in attesa di sapere chi sarà il prossimo a tradirci.

    E in tutto questo abbiamo perso di vista l’altra persona, nel senso che proprio non l’abbiamo considerata come persona in quanto tale, nelle sue imperfezioni e nelle sue inadeguatezze.
    In realtà non la stiamo nemmeno rispettando, non stiamo accettando i suoi comportamenti che fanno parte della natura umana, magari solo perché non ne comprendiamo il motivo.

    Lise Bourbeau scriveva: “Accettare che cosa? Soprattutto il fatto che ciò che temi dagli altri o per cui li rimproveri, è qualcosa che a tua volta fai agli altri e soprattutto fai a te stesso.” (Le 5 ferite e come guarirle)

    Quando si lavora in gruppo o anche solo in due, concedere e ricevere fiducia diventa un motore importante nella generazione della motivazione e favorisce il riconoscimento dei limiti da valicare e delle potenzialità da sviluppare.
    Si attua un meccanismo tale per cui le aspettative vengono realmente dichiarate e condivise, riducendo il rischio che vengano disilluse e rompendo i nessi logici che le legano alla fiducia. Connessioni che possediamo da tempo nella nostra mente.

    Tutto parte da noi. Se concediamo noi stessi di fare agli altri ciò che temiamo di vivere, ci sarà anche molto più facile concedere anche agli altri di agire nell’identico modo e di avere a volte dei comportamenti che risvegliano le nostre ferite più profonde, come quella del tradimento.

    Risveglieremo la nostra parte più autentica e ci toglieremo le maschere che indossiamo per proteggerci quando abbiamo paura di essere feriti.

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