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    Con chi siamo in conflitto?

    Questa è una storia che conosciamo, che abbiamo già visto così tante volte che ormai ne conosciamo tutti i passaggi, possiamo anche anticipare come andrà a finire.

    Magari l’abbiamo anche vissuta.

    È la storia di due persone che si incontrano per caso, un giorno, e che dopo uno scambio intenso di battute cominciano a frequentarsi. Vivono magicamente l’inizio della loro relazione come all’interno di una bolla. Finché a un certo punto non nasce una piccola discussione, magari dovuta ad un’incomprensione o a una divergenza di opinioni, una discussione che passa rapidamente e in sordina nell’incanto di quel mondo pieno di amore.
    Il primo momento conflittuale si dissolve così, leggero e senza strascichi apparenti, nella convinzione che questo possa solo che rafforzare il rapporto.

    Accade poi che un giorno uno dei due comincia a notare qualcosa nell’altra persona che non gli piace.
    Magari un modo “strano” di esprimersi che utilizza, un comportamento poco empatico adottato in compagnia con altre persone, una reazione poco piacevole di fronte a un imprevisto.
    Diciamo che si tratta di un particolare che aveva già osservato il primo giorno che si erano incontrati, però, “cosa volete che sia”, non era sicuramente qualcosa su cui mettere l’attenzione o da tenere in considerazione nella prima fase, tanto era insignificante ai suoi occhi.

    Con il passare del tempo, il non condividere esplicitamente questi aspetti porta, da una parte, un “non detto” ad amplificarsi in una serie di “non detti”, mentre dall’altra c’è ancora la piena inconsapevolezza della resistenza che alcuni comportamenti possono provocare nel partner.
    La persona che comincia a provare resistenza si trova più o meno consciamente in conflitto con la sua dolce metà, e pur di evitare qualsiasi tipo di discussione comincia ad ideare delle possibili soluzioni da tentare che non vadano a creare alcun impatto negativo nel rapporto.

    Se non viene affrontata con un dialogo aperto e sincero, la resistenza può diventare risentimento.
    Non passerà occasione per focalizzarsi sul comportamento dell’altro e in automatico verranno generati pensieri come “ma perché si comporta sempre così?” o “perché deve raccontare queste cose?”.
    In questo istante ve ne saranno venuti in mente tanti altri e vi sarete ricordati di tutte le volte in cui siete rimasti increduli e infastiditi di fronte all’altra persona che era all’oscuro delle vostre emozioni.
    Qualcuno poi avrà sdrammatizzato la situazione tra sé e sé, magari puntando il dito non contro l’altro ma contro se stesso, ricercando giustificazioni appropriate per sé e per chi gli sta accanto. “Pretendo troppo”. Qualcun altro si sarà appellato a tutte le sue reminiscenze zen, filosofiche, new age e quant’altro, ripetendosi come un mantra “Pensa positivo”.
    E ancora una volta, dopo aver ripreso il totale controllo di sé e la tranquillità per affrontare i giorni a seguire, non avrà fatto altro che attendere che qualcosa cambiasse.

    Quando il risentimento non viene dichiarato e affrontato, ecco che può trasformarsi in rifiuto. A questo punto iniziano le liti per motivi che possono apparire futili, che in realtà sono solo l’ultimo vagone di tutta la serie dei “non detti” nascosti, con il peso e il carico emotivo che si portano dietro.
    In quel momento diventa più difficile venirsi incontro e trovare delle soluzioni che non solo risolvano il conflitto, ma vadano a dissolvere completamente il risentimento. Il rischio è di arrivare a pensare e a credere che ormai le cose andranno sempre così, che non ci siano possibilità, magari senza che nascano nuove discussioni o alcuna discussione. In fondo ci si vuole bene e forse si può andare avanti anche in questo modo, cercando e trovando soddisfazioni al di fuori della coppia.

    La repressione arriva quando la relazione è ormai morta.

    Resistenza, risentimento, rifiuto e repressione distruggono completamente il rapporto. Sono le 4R di cui parla Anthony Robbins insieme a sua moglie Sage in uno dei suoi video inerenti il miglioramento all’interno della relazione di coppia.

    A volte quando entriamo in conflitto con qualcuno, che sia un partner, un collega di lavoro, un amico, un parente, possiamo trasformare una discussione in un litigio nel giro di pochi secondi, dire o fare qualcosa di cui poi potremmo pentirci, alzare il tono di voce, mostrare chiari segni che ci stiamo facendo prendere dalle emozioni.
    Se ci potessimo guardare allo specchio in quel momento potremmo non riconoscerci in quella versione di noi che non è più sotto il nostro controllo. Non solo non avremmo voluto far uscire il nostro lato meno “simpatico”, ma anche dover affrontare a fine litigio l’imbarazzo di rimediare al disagio creato.

    Se ci è capitato di aver reagito esageratamente a un’osservazione da parte di qualcuno, a una provocazione o a un determinato comportamento da parte di qualcun altro, abbiamo sicuramente provato la stessa sensazione che si ha quando si riapre una ferita, una ferita emozionale che abbiamo da quando eravamo piccoli e che pensavamo di aver cicatrizzato completamente.
    Comprendere che l’entità della nostra collera non dipende dal contenuto della discussione o da quello che fa e che dice l’altro, ma dalla nostra situazione emotiva, dalle nostre convinzioni e da tutti i “non detti” che ci siamo portati dietro come un fardello, ci permette di affrontare il conflitto in qualsiasi momento, prima ancora che si verifichi.

    Possiamo prendere consapevolezza quando ci troviamo nelle primissime fasi descritte sopra e intervenire con il dialogo prima di passare alla fase successiva.
    Quando la lite è accesa infatti non possiamo aspettarci di poter risolvere il conflitto come se stessimo risolvendo uno di quei problemi che incontriamo tutti i giorni, con tecniche di problem solving, con il coinvolgimento degli altri e la “positività” che può avere uno scambio di opinioni costruttivo.

    Inoltre non tutti gli scambi di comunicazione sono basati su rapporti di uguaglianza (modalità simmetrica), in cui l’assunzione delle responsabilità e la distribuzione del potere sono paritari e le persone sono in equilibrio tra loro.
    In ufficio ad esempio la comunicazione è di tipo complementare nei casi in cui il rapporto è di autorità/subordinazione. Il capo assume la posizione primaria (one-up) e il collaboratore la posizione secondaria (one-down).
    Le strade per gestire i conflitti in questi due casi sono diverse, come spiega Susanna Mazzeschi, docente di Comunicazione, Problem Solving e Coaching Strategico.

    Nel primo caso, quando la comunicazione simmetrica comincia ad accendersi (si parla di escalation simmetrica), possiamo aggiungere complementarietà: ad esempio possiamo assumere una posizione one-down e rivolgerci all’altro con una richiesta di aiuto. “Mi aiuti a capire…”
    Nel secondo caso invece, quando la complementarietà diventa rigida possiamo invece aggiungere simmetria e portare la discussione ad un livello one-up-one-up rimandando all’altro la responsabilità di scelta.
    Come quando il responsabile prende in considerazione l’idea sostenuta dal collaboratore e la valida pur trovandosi in disaccordo, responsabilizzando il collaboratore affinché operi per la sua buona riuscita.
    Chi si trova inizialmente in one-down viene indotto ad affidarsi nuovamente a chi si trova in one-up.

    Questo tipo di soluzioni riporta efficacemente l’equilibrio nella situazione e offre inoltre delle buone possibilità di aprirsi al cambiamento. La volontà da parte di entrambe le parti di comprendere che il conflitto possa essere risolto dal dialogo sincero è il presupposto irrinunciabile per l’evoluzione di relazioni sane.

    In questo momento con chi siamo in contrasto?
    E con chi stiamo vivendo un conflitto non dichiarato, che è solo nella nostra mente?

    Vivere consapevolmente il momento in cui cominciamo a percepire qualcosa che non ci piace negli altri, che ci infastidisce e che fa sì che magari non ci diamo il permesso di comportarci naturalmente, è la strategia più utile per anticipare situazioni sgradevoli.

    In quei momenti ognuno di noi può affidarsi alle proprie capacità, all’empatia, all’ironia e a tutto ciò che ci rende unici e speciali, per aprirci al confronto con l’altro e per fare del conflitto un momento di apprendimento.

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