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    Illuminati da un filo

    C’era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile. «Sono troppo debole per fare una corda» si lamentava. «E sono troppo corto per fare una maglietta. Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi. Sono scolorito e ho le doppie punte…

    Ah, se fossi un filo d’oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato! Non servo proprio a niente. Sono un fallito! Nessuno ha bisogno di me. Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!». Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo. Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse: «Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone. Ho un’idea: facciamo qualcosa noi due, insieme! Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto: tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa. Possiamo diventare un lumino, e donare un po’ di calore e un po’ di luce. È meglio illuminare e scaldare un po’ piuttosto che stare nel buio a brontolare». Il filo di cotone accettò di buon grado. Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell’oscurità ed emanò calore. E fu felice.

    Bruno Ferrero sceglie la semplicità per dar forma alle riflessioni su alcuni aspetti che caratterizzano la vita dell’essere umano. Se in questo momento ti ritrovi a pensare che hai già sentito una storia simile, che i discorsi del filo di cotone ti ricordano qualcosa, sai per certo che cosa stesse provando nel suo lamentarsi.

    Può capitare, apparentemente senza un reale motivo, che ci facciamo prendere da un senso di inutilità, o meglio ancora di inadeguatezza, come se non stessimo facendo abbastanza per qualcosa o qualcuno, come se non fossimo adeguati sufficientemente al contesto in cui siamo.

    Parte tutto con un piccolo fastidio che percepisci quando ti trovi in mezzo ad altre persone, un po’ di imbarazzo che cerchi di contenere o di scacciare via. Roba da poco, forse è solo un po’ di timidezza.

    Ma cosa succede se quella sensazione diventa sempre più forte e prende il sopravvento?

    Magari niente di grave, però ci siamo persi il piacere di goderci pienamente la compagnia delle altre persone e la libertà di essere semplicemente quello che siamo, di sentirci bene. In fatto di scuse, diventiamo da subito molto creativi: “Sono troppo timido”, “Chissà cosa pensano gli altri di me”, “Sono troppo vecchio”, “Sono troppo giovane”, “Parlo troppo”, “Parlo troppo poco”, “Non sono divertente”… e poi concludiamo: “Sono fatto così!”, “Andrà meglio la prossima volta”, “Non si può piacere a tutti”.

    C’è anche chi cerca di farne una lezione di apprendimento: “Va be’, è andata così, ma cosa ho imparato oggi?

    La verità è che il senso di inadeguatezza l’abbiamo provato tutti almeno una volta nella vita. Sì, proprio tutti. Piccoli, grandi, vecchi, giovani, saggi, ottimisti, autoironici, belli, bellissimi, ipercapaci, manager, capi, persone di successo, imprenditori, cinici, comici, quelli con la battuta sempre pronta, ingenui, artisti.

    Proprio tutti. E non solo in un determinato periodo, ma durante tutta la vita., quasi come se fosse una condizione irrinunciabile alla vita stessa.

    Eppure questa sorta di intralcio, che cerchiamo di contrastare ogni volta con metodi diversi, rimedi e consigli della nonna e di chi ci sta accanto, è una chiamata alla quale non possiamo tapparci le orecchie, è la chiamata ad “entrare in campo”, ad esserci con la nostra presenza mentre giochiamo le nostre partite.

    Il filo di cotone non ha i canoni per essere il filo perfetto, o meglio quello che si è prefissato di essere.

    Inadeguato, inutile, se ne sta raggomitolato.

    Se facesse parte di una squadra di calcio, di pallavolo o altro, potrebbe essere il giocatore che se ne sta in panchina e che già nei primi minuti, se potesse, se ne andrebbe nello spogliatoio, non visto da nessuno, per tornarsene a casa.

    Fortunamente gli si presenta l’occasione: un mucchietto di cera che ha il desiderio di fare della sua cera qualcosa di unico.

    Il senso di inadeguatezza del filo di cotone e la speranza del mucchietto di cera generano una trasformazione, che dà vita a qualcosa di nuovo e di unico.

    Stai pensando anche tu che se vogliamo attuare una trasformazione abbiamo già dentro di noi quello che ci serve?

    La speranza non attuerebbe gran che se non entrasse in contatto con l’inadeguatezza. L’uno mette in moto l’altra, e agiscono insieme, per creare una nuova forza ed andare oltre.

    Quanto diamo peso a quello che gli altri ci dicono sull’età, sul successo, sulle possibilità che abbiamo o non abbiamo, sulla società e sulle sue regole, sulle capacità che dovremmo avere e sulle imperfezioni che non ci permettono di emergere?

    Credo che possiamo renderci conto di quante chiacchiere inutili vengano prese seriamente in considerazione, di quante volte abbiamo sentito dire che le opportunità ci sono solo per qualcuno e solo a determinate condizioni, di quanti giudizi e sentenze vengono emessi da chi non si sta occupando della propria vita e si diverte a distruggere al posto di costruire.

    Tutto questo a discapito di chi ha il desiderio di fare qualcosa di significativo per la propria vita e di essere la persona che vuole.

    Se vuoi andare oltre, chiediti in che modo quello che stai ascoltando, vedendo e provando ti è utile e che cosa ti sta mettendo un freno a quanto vorresti realizzare.

    Quanto è stato limitante per il filo di cotone mettersi delle regole, degli standard da raggiungere, e quanto è stato utile aprirsi con fiducia ad un’opportunità nascente?

    Gli standard da raggiungere sono quelli che vanno bene per tutti, ma siamo sicuri che vadano bene anche per ciascuno di noi?

    Proviamo a sostituire il giudizio a cui ci sottoponiamo con la fiducia, la tenerezza e l’amore per noi stessi, per come siamo, inadeguati e comunque unici e irripetibili. Le occasioni arrivano, sempre. Ce ne sono tante e diverse e non sono quasi mai come ce le aspettiamo, ma sono quelle che fanno per noi e che ci fanno brillare a modo nostro.

    Mi chiedo se il filo di cotone, prima di unirsi alla cena, avesse tenuto in conto che una volta acceso si sarebbe bruciacchiato, e mi viene un po’ da sorridere, perché chi vuol essere felice è disposto anche a trasformarsi, non solo ad accettare se stesso.

    E il filo si trasforma coraggiosamente ben due volte nella stessa occasione, prima unendosi alla cera e poi al fuoco.

    Ciò che conta è tutto dentro di noi; da fuori nessuno ci può aiutare. Non essere in guerra con se stessi, vivere d’amore e d’accordo con se stessi: allora tutto diventa possibile. Non solo camminare su una fune, ma anche volare.

    Herman Hesse.

    2 Commenti
    • Franca Errani
      Scritto alle 16:34h, 05 Ottobre Rispondi

      Ben scritto, bella l’immagine del filo e della cera, le metafore aiutano tantissimo! Complimenti, Franca

      • Claudia Vitale - Personal Coach
        Scritto alle 16:59h, 05 Ottobre Rispondi

        Grazie Franca, è proprio vero: attraverso le cose semplici comprendiamo tantissimo!

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