Vuoi iniziare ad essere te stesso?

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    Quando iniziamo a vivere?

    Una bella mattina ci siamo svegliati e ci siamo preparati per il gran giorno.

    Abbiamo controllato che la camicia fosse ben abbottonata e stirata, la giacca del colore che si lega ai pantaloni, le scarpe pulite ed eleganti, un bel sorriso stampato sulla faccia, non troppo ampio, di quelli sottili, a tratti misterioso e interessante, sicuro, affabile. Li abbiamo provati tutti allo specchio, compreso lo sguardo, serio, ironico, analitico, di quelli che ti fanno capire “sono la persona giusta per questo posto, fidatevi di me”. Una volta pronti siamo andati al nostro colloquio di lavoro.
    Giovani e pieni di vita, abbiamo varcato la soglia di casa emozionati, ripetendoci che sarebbe andato tutto bene, che avevamo ogni possibilità nelle nostre mani quindi potenzialmente gestibile. Magari mani leggermente sudate. Un po’ di ansia pre-colloquio che avremmo spazzato via nei primi cinque minuti una volta iniziato il discorso e agganciato l’argomento.

    Durante il colloquio non abbiamo lasciato dubbi all’interlocutore: eravamo pronti a prendere in carico mansioni sfidanti.

    Lo abbiamo dichiarato, che amiamo le sfide, che ci piace affrontare temi sempre nuovi, che siamo alla ricerca di una crescita professionale per la quale non ci tireremmo indietro nemmeno se ciò comportasse lavorare sotto stress con vincoli stretti e obiettivi difficilmente raggiungibili.

    In fondo questo per noi avrebbe voluto dire uscire finalmente dalla “comfort zone”.

    Ecco, quando si parla di comfort zone si fa riferimento al superamento di schemi comportamentali legati ad abitudini che permette, anzi garantisce, la crescita sia in ambito professionale che in ambito personale.
    Anche nello sport è un concetto ormai diffuso da anni, strettamente connesso al raggiungimento delle migliori performance da parte degli atleti.

    Uscire dalle proprie sicurezze, dal calduccio delle nostre abitudini funzionali e già perfettamente collaudate, è qualcosa di molto personale.

    Prima di tutto perché si tratta di mettere le nostre abilità e le nostre caratteristiche sotto nuovi riflettori, in contesti diversi dal solito, a volte dando la possibilità ad altri di valutarci, come succede sul lavoro.
    Trovarsi faccia a faccia con l’ansia e innumerevoli paure ci fa domandare “ma chi me l’ha fatto fare?”.

    Qui sta il punto: disegnare il cerchio della nostra zona di comfort e i punti all’esterno che vogliamo raggiungere spetta solo a noi.
    Porsi obiettivi difficilmente raggiungibili senza essere adeguatamente attrezzati, soprattutto quando sono obiettivi non pienamente condivisi da noi, non è da considerare come una profittevole uscita dalla comfort zone, ma come un vero e proprio suicidio.

    Diciamo pure che per attuare un percorso di crescita e rompere gli schemi mentali abitudinari basta anche solo compiere piccoli gesti diversi dal solito ogni giorno. Gesti che vanno controcorrente con il pensiero che ci alimenta di continuo. Anche gesti altruistici, che normalmente non ci viene in mente di fare, come ad esempio offrire qualcosa alle persone che incontriamo durante in giorno. E’ un po’ come prenderci cura del prossimo senza che ci sia un evidente e reale motivo o una richiesta di bisogno, in modo incondizionato e sincero. E’ un atto d’amore verso il prossimo ma anche verso noi stessi.

    Mi è capitato a volte di cogliere l’occasione di fare qualcosa di nuovo quando avverto un’irrazionale paura in qualche situazione che mi si presenta. Una volta superata, soprattutto se si tratta di una sfida importante, la vado ad immagazzinare nelle memorie dei miei successi.
    E’ una lista di tutte le volte che mi sono confrontata con situazioni impegnative e nuove, in cui ho sfoderato capacità che neanche sapevo di possedere.

    “Life begins at the end of your comfort zone.”

    (Neale Donald Walsch)

    L’avete mai fatta una lista dei vostri successi e di quello che vi ha permesso di raggiungerli?
    Quali emozioni li hanno accompagnati?

    Se ci pensiamo bene non si trattava solo di gioia, soddisfazione, energia positiva.
    Abbiamo vissuto momenti difficili, momenti in cui non sapevamo come sarebbe andata, periodi interi di ansia, di paura e di paralisi, che poi abbiamo sbloccato.
    Ci siamo messi nella condizione in cui eravamo disposti ad accettare i sì e anche i no, in cui volevamo fare “le cose fatte per bene” e abbiamo dovuto mettere da parte le nostre idee perfezioniste per non autosabotarci.

    Abbiamo compreso che la vita è fatta di sbagli e che se non ci diamo il permesso di sbagliare non ci stiamo dando il permesso di vivere pienamente, anche se sbagliare ci fa perdere tempo, ore, giorni e a volte settimane, e sappiamo che il tempo è la risorsa più preziosa che abbiamo a disposizione.

    Prima di lanciarci nelle prossime innumerevoli e sfidanti avventure, chiediamoci per chi lo stiamo facendo veramente. Prendiamoci il tempo per ascoltarci a fondo e per desiderare qualcosa di nuovo per noi stessi.

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