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    Aspettative: giochiamo?

    Se ripenso al momento in cui ho deciso di portare a termine i miei studi sul Coaching e sulla Programmazione Neuro Linguistica, mi viene subito in mente un seminario sulle presentazioni efficaci che avevo seguito con alcuni miei colleghi.

    Una normalissima giornata di febbraio in cui il relatore del corso ci aveva intrattenuto, divertito, coinvolto.

    Un viaggio attraverso la comprensione dell’interlocutore, il funzionamento dell’ascolto e di quella macchina assolutamente perfetta che è il cervello. 

    Semplici tecniche per ottenere ottimi risultati.

    Avevamo lavorato in gruppi, creato una struttura con i post-it per la presentazione che avremmo realizzato, dato vita ad una storia che facesse fluire il racconto.

    Avevamo un obiettivo comune e ci eravamo coordinati per quello, portando ognuno il proprio bagaglio di esperienza, il proprio ruolo, le proprie competenze.

    C’erano un bel po’ di cose che avevo capito quel giorno.

    Puoi essere brava, competente, tecnicamente esperta nel tuo campo, nella tua materia, abilissima negli strumenti informatici, ma per crescere sul lavoro ci vuole anche altro.

    C’è quella parte di apertura nei confronti dell’altro e di ascolto. Di vero ascolto.

    E di comprensione delle aspettative. Delle sue ma anche delle tue.

    Abbiamo così tante aspettative nei confronti degli altri, del mondo e anche di noi stessi, che sarebbe un peccato metterle da parte, solo perché ti dicono che farsi delle aspettative porta inevitabilmente a vederle disattese una ad una.

    Troppo semplicistico e poco utile dirsi…di smetterla.

    Quello delle aspettative era per me un punto importante, come lo è ora.

    Sul lavoro, ad esempio, sai che il tuo responsabile e, a volte anche i tuoi colleghi, hanno delle aspettative su di te.

    E pensi che magari non sappiano che anche tu le hai nei loro confronti.

    Si genera una sorta di gioco, in cui ci si mette in gioco, appunto, per soddisfare le aspettative altrui e le proprie, una volta che vengono esplicitate.

    Quelle non dichiarate o mal dichiarate, invece, nel momento in cui vengono disattese, creano un malcontento generale.

    Ci si punta il dito contro. Può venir meno la fiducia e la stima reciproca.

    Un bel disastro quando il gioco delle aspettative finisce male.

    A questo punto magari ti stai chiedendo come mai però, nel gioco delle aspettative, sei quasi sempre tu a cercare di soddisfare quelle degli altri e non ci sia un equilibrato sforzo da parte di tutti. O magari hai solo bisogno di smettere di avere paura di disattendere le aspettative degli altri.

    Senza entrare nella merito delle cause e degli attori, ti voglio parlare di alcune cose che ho imparato, semplici ed efficaci, che aiutano chi si aspetta qualcosa e chi va incontro alle aspettative altrui.

    Per giocare bene bisogna evitare di:

    1. Restare nel vago. Quando chiedi a qualcuno di fare qualcosa, di migliorare un suo comportamento, spiega che cosa ti aspetti di vedere, sentire, provare. Se non descrivi il comportamento osservabile che ti aspetti, il concetto rimane vago e poco. Su, ti voglio vedere più sicuro! Dai, più sicuro! Quando presenti, quando parli, ovvio! (magari ti aspetti solo che il tuo interlocutore ti guardi negli occhi mentre parla.)
    2. Dare per scontato. Succede spesso che pensiamo che sia logico, normale, ovvio, che qualcosa funzioni in un certo modo. E spieghiamo agli altri quali erano le aspettative dopo che sono state disattese. Era scontato che tu ti comportassi in un certo modo! Tutti l’avrebbero fatto così!
    3. Impuntarsi sull’idea originale. Nessuno ti legge in testa. Nessuno può sapere cosa avevi immaginato quando hai chiesto a qualcuno di realizzarlo per te. Non esattamente, neanche dopo averlo spiegato nel migliore dei modi. Accetta che gli altri possano attendere alle tue aspettative a modo loro ed apprezzerai il loro contributo e la loro originalità.

     

    Avrei potuto continuare l’elenco aggiungendo che è utile evitare di generare aspettative troppo alte o irreali, perché uscirebbero fuori dal contesto del gioco.

    Nel senso che non si può giocare, e quindi non si può crescere, in un contesto in cui non si fanno i conti con la realtà e le pretese non puntano ad obiettivi di sviluppo.

    L’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca.

    Friedrich Schiller

     

    Alla fine di quella giornata decisi dunque di dedicarmi alla crescita professionale e personale delle persone, ma decisi anche di farmi guidare da chi stava “esplorando” come me e voleva condividere la sua esperienza.

    Aspetto quindi i tuoi commenti e i tuoi spunti (me li aspetto davvero).

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