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    Dove vanno a finire le parole

    Mi ha sempre affascinato il linguaggio. Il modo di costruire le frasi attraverso strutture che sono installate da millenni nel nostro dna e che continuano ad evolversi, gli algoritmi sottili che ci permettono di mettere insieme le parole e di collegarle al significato che vogliamo dare.

    E infine la fusione di tutto questo con la nostra gestualità personale e unica, che dà forma al pensiero umano in infinite possibilità.

    Ogni volta che ci esprimiamo possiamo scegliere come farlo e quanto vogliamo raccontare di noi, quanto vogliamo che gli altri sappiano di noi.

    Guardavo Robin Williams nei panni di John Keating de “L’attimo fuggente” esortare i ragazzi “a pensare con la vostra testa, ad assaporare parole e linguaggio” e pensavo che avevamo tutti il meraviglioso potere di creare emozioni, motivazione e vita attraverso qualcosa di ancora non del tutto esplorato.

    Abbiamo posto l’attenzione negli ultimi decenni sulla gestualità, sui comportamenti, sul tono della voce, la velocità di esposizione e altri elementi del linguaggio non verbale che caratterizzano significativamente le modalità di comunicare. Lo vediamo e lo sentiamo nei video di politici, esperti di settore e influencer, quanto questa parte del linguaggio sia particolarmente importante nella veicolazione dei messaggi.
    Quanto più è curata e coerente con le parole espresse, tanto più diventa efficace nel far raggiungere il proprio messaggio all’interlocutore.

    Tuttavia, per “assaporare le parole” dovremmo partire a riscoprirne il significato, a ritornare ad essere esploratori di qualcosa che è quotidianamente sotto i nostri occhi ed andare a cogliere elementi che sapevamo di non sapere.
    Marco Balzano, autore di “Le parole sono importanti”, prende in considerazione dieci parole della nostra lingua e ci restituisce il significato etimologico e il cambiamento che queste parole hanno subìto nel tempo.
    Ogni parola ha una sua storia da raccontare e conserva in sé una parte di mistero: è come se non potessimo cogliere la totalità del significato, ma ci limitassimo ad abbracciarne solo il senso ultimo.

    La lingua oggi viene spesso usata in modo sintetico e semplificato. Ne è un esempio la parola condivisione: “condividere significa dividere con qualcuno, privarsi di qualcosa per offrirlo ad altri; in rete condividere è il contrario di dividere con qualcuno, significa fotocopiare, mandare a mille contatti qualcosa di nostro, senza privarci di niente, non abbiamo bisogno di nessuno: sia il cum che il dividere sono falsi.” (M. Balzano)

    Attribuire alle parole più di un significato e padroneggiare la lingua non solo per la sua parte più superficiale ha il vantaggio di accedere a un senso pieno e complesso, tridimensionalità e forza visiva.

    Quanto ci appare limitante pensare che ci sia un solo significato per ogni termine?
    Quanto invece ci permette di arricchire la nostra comunicazione e di aiutarci a sviluppare ancora meglio l’apertura al dialogo e la comprensione di chi ci sta di fronte?

    “Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo.”

    (John Keating)

    Possiamo darci il permesso di comprendere meglio noi stessi attraverso il dialogo interno, di farci chiarezza e di sperimentare il nostro modo di essere diretti e sinceri.
    Possiamo rafforzare la funzione generatrice del dialogo con gli altri: fiducia ed empatia si potenziano attraverso l’attenzione reciproca, l’interesse e l’ascolto attivo, lo scambio di idee e la forza motivazionale.
    Perché amiamo creare relazioni salde e autentiche, fidarci e affidarci agli altri, e “condividere” il nostro pensiero nel senso più completo.

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